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Gesù suscita la vita
Luca 7, 11-17




Poco dopo egli si avviò verso una città chiamata Nain, e i suoi discepoli e una gran folla andavano con lui. 
Quando fu vicino alla porta della città, ecco che si portava alla sepoltura un morto,
figlio unico di sua madre, che era vedova; e molta gente della città era con lei. 

Il Signore, vedutala, ebbe pietà di lei e le disse: «Non piangere!». 
E, avvicinatosi, toccò la bara; i portatori si fermarono ed egli disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!».
Il morto si mise a sedere e cominciò a parlare. E Gesù lo restituì a sua madre.

Tutti furono presi da timore, e glorificavano Dio, dicendo:
«Un grande profeta è sorto tra di noi» e: «Dio ha visitato il suo popolo».
E questo dire intorno a Gesù si divulgò per tutta la Giudea e per tutta la regione circostante.

Luca 7, 11-17

 

Due cortei si incontrano alle porte di una piccola città. Uno porta con sé la speranza, al seguito di un uomo che guarisce e insegna, e si rivolge con una parola piena di vita anche a chi è straniero ed estraneo alla sua tradizione. E’ uno di quei momenti in cui la storia sembra aprire verso un futuro migliore. Dalla città esce però un corteo che fa i conti con la morte. Tutto il paese si stringe attorno a una donna, una vedova che ha perso il suo unico figlio. La legge prevede che i morti siano sepolti fuori città, per segnare una separazione, per mettere un confine, per non interferire con la vita.

E qui, all’immagine del corteo che porta alla tomba il figlio unico della vedova, si affianca, nella mia mente, quella delle centinaia di morti sulle spiagge, in mare, raccolti da soccorritori che nulla più possono fare per loro - se non comporli nei sacchi, trovare loro una sepoltura, come succede a Lampedusa, dove è stato creato uno spazio nel cimitero per questi morti del mare e della dimenticanza umana.


E dunque gli abitanti di Nain portano fuori il ragazzo morto, e presto lui sarà solo un ricordo – così come anche noi a stento ricordiamo per un po’ di tempo i corpi morti sulle spiagge di questa che è quasi una scena di guerra - la guerra dei ricchi contro i paria, gli scartati della storia. Sì anche noi dimentichiamo questi corpi morti che lì per lì ci impressionano tanto, come quello del piccolo Aylan nel settembre scorso.

Ma la madre del ragazzo di Nain, no,  non può dimenticare. E’ straziata nelle viscere. Anche la sua vita rischia di finire lì, impietrita nell’impensabile.
I due cortei si incontrano. La vita e la morte. Gesù si ferma e vede la madre. La sua azione non è scenica, ma istintiva, non è provocatoria, ma autentica. Gesù tocca la bara. Quella separazione tra vita e morte, che la legge prevede come fragile barriera, in Gesù è superata. Nessun divieto, ma la vita che fluisce ovunque. Quando Dio visita il suo popolo anche i morti risuscitano.


Perché Gesù fa questo gesto? (Ditelo a Giovanni il Battista, dirà poi).
Vedendo la madre, le viscere di Gesù diventano viscere materne. La compassione prevale, e con essa la volontà divina di vita. Restituisce il figlio e il futuro alla vedova che resta muta, sopraffatta, mentre il figlio si mette a parlare.
Quando Dio visita il suo popolo, i morti risuscitano e si mettono a parlare. Parlano di ingiustizie e separazioni, di quei confini che portano morte, della volontà di Dio che richiama alla vita.
Gesù usa la parola per suscitare la vita, e alla sua parola risponde la parola del ragazzo.
La vita è comunicazione, qualcosa che fa avanzare, capire, sperare. Ora i due cortei, quello del lutto e quello della speranza, sono mescolati in uno solo, quello della meraviglia riconoscente.


Gesù è così. Mescola i mondi, tocca oltre i confini, supera la legge. La sua idea di vita scompiglia le nostre idee di ordine, che separano.
Viene, così, chiamato profeta. Come Elia ed Eliseo che avevano risuscitato dei figli di vedove.
Il profeta era una figura gigantesca in Israele. Parlava da parte di Dio e portava quella parola a compimento nella vita del popolo. Il profeta sapeva far portare frutto alla parola di Dio.
Dio promette a Mosè che vi saranno ancora profeti in mezzo al popolo. Ma al tempo di Gesù si pensava che l’epoca dei profeti fosse conclusa. E, invece, ecco che Dio, nella sua misericordia materna, si coinvolge, freme, suscita un grande profeta, Gesù, la cui parola diventa realtà.


Ri- abituarci a chiamare Gesù profeta ci avvicina a ebrei e musulmani, alle promesse di un Dio che continua a prendersi cura del suo popolo  - l’umanità -, che visita le nostre città portando speranza e futuro. Gli scartati ritrovano vita, i confini sono rotti.
Il profeta Gesù tocca un morto e riporta la vita, restituisce all’unità le famiglie, ridà un futuro alle nostre città.
Così sia anche per noi di fronte alla morte e ai morti del mare. La vita prevale nell’amore.

Pastora Letizia Tomassone Predicazione 5 giugno 2016 Chiesa Evangelica Valdese di Firenze

 

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Ultimo aggiornamento: 1 Maggio 2017
 ©Chiesa Evangelica Valdese di Firenze